La nuova versione dell’art. 316 c.p.c., come novellato dalla riforma Cartabia, ha disposto che il rito processuale adottato innanzi al giudice di pace è quello del “procedimento semplificato di cognizione”.

L’art. 318 c.p.c. dispone che la domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell’art. 125 c.p.c., che deve contenere, oltre all’indicazione del Giudice e delle parti, l’esposizione dei fatti e l’indicazione del suo oggetto. Ma cosa accadrebbe in caso di introduzione della domanda giudiziale con atto di citazione e non con ricorso, così come previsto dall’art. 318 c.p.c.? Nel caso di specie, il Giudice, assegnerebbe specifica rilevanza al principio secondo il quale “l’erronea applicazione delle regole procedurali non può pregiudicare o aggravare in modo non proporzionato l’accertamento del diritto, sicché dall’adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità, né la stessa può essere dedotta quale motivo di gravame, a meno che l’errore non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o non abbia, in generale cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte”.

Ciò posto, i giudizi introdotti con atto di citazione, dopo l’entrata in vigore della riforma Cartabia, non potranno essere dichiarati inammissibili bensì il Giudice, per il principio della conservazione degli atti, dovrà provvedere al mutamento del rito.

Con il contributo del Prof. Avv. Gianluca De Lucia

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