L’art.6 della Direttiva Ue 2016/1164 del 12 luglio 2016, c.d. Direttiva ATAD 1, riguarda le pratiche di elusione che agiscono sul mercato interno e fa seguito ad una precedente Raccomandazione Ue 2012/772 del 6 dicembre 2012 sulla pianificazione fiscale aggressiva ed alla implementazione dell’Action 6 del Beps – Base erosion and Profit Shifting a livello Ocse. Tale regolamentazione sovranazionale indica l’esigenza di sanzionare le “costruzioni non genuine”, nella misura in cui non siano state poste in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica, allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale (principale) in contrasto con l’oggetto o la finalità del diritto fiscale applicabile. Esclusivamente nel settore dell’imposta dovuta sulle società e relativamente ai soli fenomeni a carattere transnazionale.

La Direttiva si limita a perseguire gli atti o costruzioni in contrasto con l’oggetto o la finalità delle norme fiscali, senza graduare la presenza della sostanza economica nell’operazione (che per la Direttiva o c’è o non c’è); e neppure richiede la conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici e contrattuali a normali logiche di mercato, come invece indicato dalla norma nazionale (art.10-bis Statuto del contribuente).

Uno dei “considerando” della Direttiva esplicitamente, richiamando il Beps, che mira a “rafforzare il livello medio di protezione contro la pianificazione fiscale aggressiva nel mercato interno e si pone in continuità con le attuali priorità politiche di fiscalità internazionale, che evidenziano la necessità di assicurare che l’imposta sia versata nel luogo in cui gli utili e il valore sono generati”. Ma il testo dell’art.6 non fa alcun riferimento a delimitazioni di competenza “transnazionale”. C’è, infatti il rischio che il legittimo risparmio d’imposta previsto dal legislatore italiano possa venire compromesso se declinato esclusivamente in conformità alla Direttiva anche per le operazioni esclusivamente interne. Infatti, l’art.6 della norma Ue sembra reintrodurre il concetto superato con l’art.10-bis delle (esclusive) “valide ragioni economiche”, testualmente “commerciali” nella Direttiva ma da intendersi in una accezione allargata.

Occorre ricordare, inoltre, che la stessa Corte di giustizia europea ha “normato” le procedure, codificando, alcuni parametri rilevatori delle pratiche abusive e precisamente quelle che vanno sotto il nome di “cause danesi”.

Con il contributo di Dott. Francesco Marrone

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